Alessia Pifferi, 38 anni, è a processo per omicidio volontario pluriaggravato per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana, di 18 mesi, che ha lasciato da sola a casa per sei giorni, a luglio 2022, mentre alloggiava dal suo compagno a Leffe (Bg). La Corte d’Assise di Milano ha richiesto la perizia psichiatrica per l’imputata, prossima udienza, 4 marzo 2024.
Noi di Golfo dei Poeti news abbiamo avuto l’opportunità di intervistare l’avvocato di Alessia Pifferi, Alessia Pontenani, che ci ha gentilmente concesso una lunga e dettagliata intervista sulla sua assistita e sul processo in corso. Presenteremo i dettagli di questa conversazione in due articoli distinti.
D.: Avvocato Alessia Pontenani potrebbe condividere con noi quale è stata la ragione o la motivazione che l’ha spinta a rappresentare Alessia Pifferi in questo caso? Cosa l’ha portata a scegliere di difenderla?
R.: In realtà, come avvocato, ho sempre difeso le persone a prescindere dal capo di imputazione. Mi ha colpito particolarmente quando un collega, nominato dalla signora Pifferi, mi ha confidato che non l’avrebbe mai difesa a causa del suo gesto orribile. Ritengo che gli avvocati non debbano scegliere i reati o le persone da difendere; in tal modo, non ci sarebbe più garanzia per nessuno.
Dal mio punto di vista, gli avvocati devono difendere tutti, facendo sempre del loro meglio, indipendentemente da ciò che la persona può aver commesso o meno. Non è mai facile; siamo, alla fine, persone normali. Ad esempio, quando ho esaminato l’autopsia della bambina della Pifferi, non ho dormito per tre giorni, tuttavia tutti hanno diritto di essere difesi, e a maggior ragione anche la signora Pifferi.
Dalla nostra prima conversazione, ho immediatamente intuito che la signora non stava bene.
A prescindere da ciò che dicono, nonostante le accuse di menzogne e diabolismo, provo solo grande tenerezza per la signora.
Nel suo stato, la vedo come una persona completamente spaesata, incapace di rendersi conto appieno delle proprie azioni. Forse, solo ora sta iniziando a capire. Attualmente, sembra essere molto spaventata, ma è certamente più lucida e consapevole di ciò che ha fatto.
È terrorizzata dalla situazione che le sta accadendo attorno. Io riesco sempre a farla sorridere, anche prima delle udienze, ma resta sempre molto impaurita. Durante l’udienza con il pubblico ministero, sono stata costretta a chiedere una pausa di 15’ minuti, poiché non riusciva più a parlare, era andata completamente in panico ed era tremolante. Ho cercato di rassicurarla, anche se le persone intorno hanno subito pensato che le stessi suggerendo le risposte. Ovviamente, non era così, ma cercavo solo di darle supporto.
D.: Quali sfide o complessità specifiche presenta questo caso rispetto ad altri casi che ha affrontato in passato?
R.: Qui c’è molto poco di giuridico; ho seguito un altro caso di omicidio. Il mio assistito è stato assolto, mi sono dedicata alle indagini e mi sono veramente data da fare. Abbiamo scoperto effettivamente cosa fosse successo nell’omicidio nel vecchio macello di Viale Molise.
Quello è stato un caso tra persone extracomunitarie ai margini della società. In quel caso sono state fatte le indagini perché si doveva capire chi era il colpevole; in questo caso no. Dal punto di vista giuridico, questo è in realtà molto più interessante perché si va a scavare veramente nell’animo di una persona per riuscire a comprendere cosa l’abbia spinta a questo comportamento.
Non è stato facile neanche per me capire cosa possa pensare una persona che lascia la propria figlia sola a casa per sei giorni. Questa situazione, che all’inizio sembrava inconcepibile anche per me, dopo aver parlato molte volte con gli psichiatri, esperti e persone che si occupano di questi disturbi, ho capito che effettivamente è una tragedia, ma può accadere. Sembra assurdo, ma può succedere.
D.: Come valuta la situazione della sua assistita dal punto di vista psicologico ed emotivo?
R.: È una povera donna, è stata abbandonata da tutti. Cercava disperatamente conforto e qualcuno che l’aiutasse. Stiamo parlando di una donna nata nel 1985, ma sembra nata nel 1800, perché da sola non è in grado di fare nulla. Non per pigrizia, ma perché non è in grado; per questo si faceva venire a prendere dall’autista.
Non riusciva a prendere i mezzi pubblici e non aveva la macchina perché non è stata in grado di prendere la patente.
Non ci ha neanche mai pensato, poiché era una cosa che non si faceva in quel tipo di famiglia, e neanche la sorella ha la patente. Comunque, le due sorelle sono state mandate a lavorare a 15 anni dai genitori.
Stiamo parlando di un nucleo familiare concepito come se vivessero tutti in un’altra epoca, e la Pifferi è frutto di questa famiglia. Per questo cercava un uomo disperatamente nel momento in cui è rimasta incinta. Sono convinta che lei non lo sapesse davvero, per tanti motivi, e tutti lo hanno detto: non si vedeva che era incinta.
Quando si è ritrovata con la figlia, ha pensato che dovesse trovarsi un padre anche per la bambina, oltre che per se stessa.
Infatti, durante l’interrogatorio, ci sono dei lapsus freudiani molto importanti e interessanti dal punto di vista psichiatrico. Lei parla della bambina, ma in realtà parla di se stessa. Invece di parlare della bambina, dice: ‘Ero al mare con la bambina’. ‘Cosa hai detto al signor Angelo D’Ambrosio? Dove era la bambina quando stavi con lui? “Io gli ho detto che era al mare con mia sorella”. Lei era come se fosse tutt’uno con sua figlia, e purtroppo poi è successo quello che è successo. Lei ora la vive malissimo, molto dispiaciuta per la famiglia.
Non tanto per la sorella, che oltretutto tra loro due c’è parecchia differenza di età, inoltre la sorella è andata via prima di casa e non ha avuto grandi rapporti con lei, ma per sua mamma, che la odia completamente e non vuole più vedere la figlia arrestata. Lei ha scritto diverse lettere in carcere per riallacciare i rapporti con la madre, (se davvero le ha scritte lei) ma questa famiglia l’ha cancellata completamente. E ora lei si trova completamente sola. Io sono rimasta l’unico punto di riferimento, infatti cerco di aiutarla in tutto, le porto dei vestiti, le do dei soldi.
E non è vero che le sono stati mandati cosmetici, profumi o sciocchezze del genere in carcere. Mi pare di aver sentito un difensore che diceva che aveva ricevuto questo genere di prodotti, ma non è affatto vero.
Mi rende felice notare che molte persone stanno iniziando a capire la sua effettiva situazione di difficoltà, probabilmente grazie alla mia partecipazione in televisione. Ci tengo a sottolineare che, nonostante il tempo dedicato a questa attività, lo faccio senza ricevere alcun compenso e, allo stesso tempo, sottraendolo al mio lavoro.
C’è una signora che mi ha contattato e le ha mandato un paio di scarpe. Anche i vestiti che ha, erano miei e delle mie colleghe. La giacca bianca che indossava alle udienze era mia, a me stava larga, e l’ho regalata a lei. Le ho comprato un maglione a righe oro e nero che ha indossato nell’ultima udienza.
Cerchiamo di aiutarla. Io sono andata anche al cimitero perché lei me l’aveva chiesto, e io l’ho fatto. Non è un mostro, è una donna che sicuramente ha sbagliato e doveva capire perché ha fatto quello che ha fatto. Mi piacerebbe che tutti la vedessero al di là di quello che ha commesso. Tutti parlano di carità cristiana e poi inneggiano alla pena di morte, che la trovo aberrante.
Lei era una donna che non doveva rimanere da sola con la bambina. Non era in grado di gestirla, ma non era in grado di gestire neanche la sua vita. Lei veramente pensava che non sarebbe successo nulla perché lo aveva già fatto e non era mai accaduto nulla.
Segue seconda parte
Avv. Alessia Pontenani qui il suo Linkedin
Ringraziamo Andrea Spinelli Art per averci gentilmente concesso le illustrazioni riguardanti il processo di Alessia Pifferi, noi lo abbiamo intervistato qui il link
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Luisa Fascinelli